30 Giorni - settembre 2004 -> Sommario -> La caduta e la grazia
Recensioni
La
caduta
e la grazia. Camus e Agostino
La
tesi di laurea del ventiduenne Albert Camus, Métaphysique
chrétienne et néoplatonisme, discussa nel 1936 all’Università
di Algeri, è stata tradotta per la prima volta in italiano
di
Massimo Borghesi
Albert
Camus in una foto del 1945 di Henri Cartier-Bresson
Cristianesimo ed Ellade. Plotino
e Agostino Come è possibile che il mondo
antico, pagano, sia divenuto cristiano? L’antica domanda del neoclassicismo
tedesco, da Goethe a Nietzsche, sta dietro alla tesi di laurea del
ventiduenne Albert Camus, Métaphysique chrétienne et néoplatonisme.
Plotin et saint Augustin, discussa all’Università di Algeri e
ora tradotta per la prima volta in italiano1. Per lo più trascurata
dagli studi camusiani, appena accennata nelle biografie, la tesi,
pur non mostrando novità di rilievo, riveste però un indubbio interesse
se posta a confronto con l’insieme della produzione camusiana, con
la figura di Agostino in particolare2. Come, dunque, l’antichità è
divenuta cristiana? Per Camus questo processo si spiega se, seguendo
Nietzsche, si tiene presente il duplice volto dell’Ellade, quello
luminoso, razionale, socratico, apollineo, e quello oscuro, misterico,
orientaleggiante, dionisiaco. V’è «accanto alla Grecia della luce,
una Grecia dell’ombra, meno classica e altrettanto reale»3. A questo
Oriente greco si ricollega il cristianesimo: «Qualcosa nel pensiero
greco prefigura il cristianesimo nello stesso tempo in cui qualcos’altro
lo respinge in anticipo»4. Per la Grecia luminosa l’uomo è misura
a sé stesso, autosufficiente. «In un certo senso i Greci accettavano
una giustificazione agonistica ed estetica dell’esistenza. Il profilo
delle loro colline o la corsa di un giovane uomo su una spiaggia svelava
loro tutti i segreti del mondo. Il loro Vangelo diceva: il nostro
Regno è di questo mondo»5. Come nel racconto contemporaneo Nozze
a Tipasa, il Vangelo risiede qui in un «giorno di nozze con il
mondo»6, nella beata innocenza del divenire, nel panico immedesimarsi
con le forze della natura. Di contro a questa innocenza sta
la Grecia oscura cui idealmente si ricollega il cristianesimo. Riflesso
di un’era tormentata la fede cristiana è letta da Camus con gli occhi
di Pascal: senso della morte, del peccato, trascendenza del Regno,
fuga dalla natura in direzione della storia, salvezza operata da una
grazia proveniente da fuori. L’ultimo punto, l’idea di una salvezza
operata dall’incarnazione di Dio, appare come il vero nodo di contrasto
tra cristianesimo ed Ellade. La stessa gnosi, cui è dedicato il capitolo
più originale del lavoro, pur dipendendo dal pessimismo cristiano,
rappresenta, secondo Camus, un tentativo di ellenizzare la fede cristiana.
Nei sistemi gnostici «la fede s’impara. È dunque un’iniziazione. […]
L’iniziazione colloca l’uomo nel regno divino. […] Il fatto è che
l’Ellenismo non può separarsi dalla tenace speranza che vede l’uomo
tenere il destino nelle proprie mani»7. È la fedeltà a questo principio
che segna la distanza che, pur nella convergenza ideale, separa due
giganti del pensiero antico: Plotino e Agostino. Di contro alla tesi,
allora molto diffusa, sul sostanziale neoplatonismo agostiniano, Camus
afferma che «troppe cose separano sant’Agostino da Plotino»8. Agostino
dipende da Plotino su più punti ma nell’essenziale – il Verbo fatto
carne, la dottrina del male morale non risolubile né attraverso i
misteri né attraverso l’ascesi filosofica – egli è cristiano, non
greco.Prendendo posizione contro la tesi
di von Harnack sulla “ellenizzazione del cristianesimo”, Camus scrive
che «al contrario, secondo il nostro lavoro, bisogna parlare soprattutto
della cristianizzazione dell’ellenismo decadente»9. La Grecia è stata
portata su un altro terreno: l’orgogliosa autonomia dell’uomo ellenico
cede ora alla via “orientale”, al pessimismo “decadente”. Un’antropologia
della forza è sostituita da un’altra segnata dall’inquietudine e dall’impotenza,
e tutto ciò senza abbandonare, sul piano formale, il terreno delle
categorie elleniche. Un vero miracolo, secondo Camus, il cui merito
è opera essenzialmente di Agostino. Métaphysique chrétienne et
néoplatonisme riconosce pertanto al cristianesimo una capacità
di sintesi senza eguali – in ciò vicino alle tesi di Gilson e Guitton
e in aperto contrasto con quella di Emile Brehier –, senza che il
punto di vista da cui parte la sua valutazione sia però minimamente
vicino a quello degli autori cattolici. Questo, celato nel testo,
emerge nel finale dietro una valutazione in sé positiva. «A maggior
ragione se si crede a Nietzsche, se si riconosce che la Grecia dell’ombra
[…], la Grecia pessimista, sorda e tragica era il sigillo di una civiltà
forte, bisogna convenire che il cristianesimo a questo proposito rappresenta
un rinascimento in rapporto al socratismo e alla sua serenità. “Gli
uomini” dice Pascal, “non avendo potuto guarire la morte, la miseria,
l’ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici”. Lo
sforzo del cristianesimo è di opporsi a questa torpidezza del cuore»10. Il cristianesimo appare qui
come una risposta vigorosa al problema della morte, una risposta però
– anche se Camus non lo scrive – pagata con il rinnegamento del “vangelo”
greco, dell’innocenza edenica, dell’immedesimazione panica con la
natura. Il panteismo naturalistico del giovane Camus ammira, da fuori,
la serietà cristiana – l’eroismo di Pascal – ma lo avverte come “estraneo”,
un superamento ingiusto dell’inesorabile splendore del mondo.
Le
rovine della cattedrale del vescovo Alessandro a
Tipasa, in Algeria. Tipasa, tra il IV e il V secolo,
fu teatro di persecuzioni ai danni della comunità
cristiana. La bellezza delle rovine di quella città
ispirò alcune opere di Camus come Nozze a Tipasa
(in Nozze, 1938) e Ritorno a Tipasa (in L'estate,
1954)
Vivere senza la grazia: l’antiagostinismo
di Camus Quando Camus scrive la sua tesi,
è pienamente immerso nell’orizzonte ideale dell’antica Ellade. Dietro
le suggestioni del suo maestro Jean Grenier, del Gide di Nourritures
terrestres, di Malraux, e, attraverso di essi, di Nietzsche, egli
si concepisce come un pagano in un mondo estraneo. «La verità» affermerà
nel 1951 «è che è un destino pesante quello di nascere su una terra
pagana in tempi cristiani. È il caso mio. Mi sento più prossimo ai
valori del mondo antico che a quelli cristiani. Purtroppo non posso
andare a Delfi a farmi iniziare!»11. Ripetendo i giudizi di Nietzsche
anche Camus parla di «secoli di perversione cristiana»12, dacché «da
duemila anni l’uomo si vede offrire un’immagine umiliata di sé stesso»13.
Da «duemila anni si assiste alla calunnia costante e insistente contro
i valori greci»14. Il risultato è «la follia moderna. È il cristianesimo
che ha distolto l’uomo dal mondo»15, lo ha allontanato dalla
natura e dalla corporeità. Camus non si sente «moderno»16 – «Il mondo
in cui sono più a mio agio: il mito greco»17 –; crede nella
«natura»18, desidera «superare il cristianesimo nell’ellenismo»19.
Questa adesione al mondo ha un significato religioso. Camus, come
Olivier Todd ha documentato nella sua biografia, non esita a confessare
la sua «anima troppo mistica»20, il suo «senso religioso profondamente
radicato»21. Non diviene comunista a causa del materialismo marxista.
L’opposizione ideale autentica è con il cristianesimo dacché il suo
è un altro modo di opporsi all’infelicità: l’accettazione del tragico
non tramite il postulato, insopportabile, del peccato originale ma
«attraverso la bellezza»22 del mondo. Diversamente da Nietzsche,
però, l’accettazione neostoica della morte non elimina, in Camus,
il senso di assurdo, di irrazionale, che la morte provoca, a partire
dal desiderio di felicità e di vita connaturali all’uomo. Più vicino
a Leopardi, o a Pavese, che a Nietzsche, Camus ritrova qui, lungo
la sua strada, l’esperienza esistenziale di Agostino (e dietro di
lui di Pascal). Lo stesso esistenzialismo, la corrente in cui egli
si colloca, ha le «sue origini»23 in sant’Agostino. Nella conferenza
del 1948 tenuta presso il convento dei domenicani di Latour-Maubourg
dirà: «Ci troviamo di fronte al male; ed è vero, per quanto mi riguarda,
che mi sento un po’ come dice Agostino a proposito di sé stesso prima
della conversione: “Cercavo l’origine del male e non ne venivo a capo”»24.
Camus come Agostino prima della conversione. Dopo non
può seguirlo. «Il solo grande spirito cristiano che abbia guardato
in faccia il problema del male è stato sant’Agostino. Ne ha
ricavato il terribile “nemo bonus”. […] Il risultato lo vediamo. Perché
di risultato si tratta. Gli uomini ci hanno messo del tempo, ma sono
oggi avvelenati da un’intossicazione vecchia di duemila anni. Sono
stanchi del male»25. Ciò che non può accettare è la “creazione imperfetta”
– «Non io ho pronunciato quel nemo bonus, o la dannazione dei
fanciulli non battezzati»26 –, il peccato originale come chiave della
condizione umana. «Io» scriverà nei Taccuini «sono di quelli
che Pascal sconvolge e non converte. Pascal, il più grande di tutti,
ieri e oggi»27. Al pari di Nietzsche anche Camus è colpito dalla lucida
analisi della condizione umana dell’agostiniano Pascal, ma le “ragioni”
del male umano non lo persuadono, non inducono alla sottomissione
della fede ma alla rivolta. Come afferma ne L’homme révolté:
«Sarebbe possibile mostrare così come non vi possono essere per uno
spirito umano che due soli universi possibili, l’universo religioso
(o per parlare il linguaggio cristiano, della grazia), e quello della
rivolta»28. Lungo questa traiettoria Camus ritrova, in parte, il manicheismo
del primo Agostino, ritrova l’opposizione al cattivo Demiurgo
responsabile del male del mondo. L’esistenzialismo, come Hans Jonas
ha chiarito a proposito dello Heidegger di Essere e tempo,
si colora di venature gnostiche29. Gli stessi titoli dei capolavori
camusiani, Lo straniero, La peste, L’uomo in rivolta,
rivelano una terminologia e una problematica gnostiche che Camus,
a partire dalla sua tesi, conosceva bene. È una gnosi nuova, tuttavia,
che, diversamente dall’antica, non rinnega lo splendore del mondo
e non conduce l’anima a nessun regno celeste. Il no a Dio sorge qui
dal dolore innocente, dalla creazione imperfetta, dove l’eden che
si perde è quello presente, non quello adamitico. «Credere in Dio
è accettare la morte. Quando avrai accettato la morte, il problema
di Dio sarà risolto – e non viceversa»30.
Sopra,
Camus nel 1923, il giorno della sua prima comunione;
sotto, nel 1932 (terza fila, secondo da destra)
con i suoi compagni di liceo
Ponendo lo stoicismo prima della
grazia, Camus ambiva a una signoria sulla morte, a «saper morire,
a viso aperto, senza amarezza»31. Si trattava di evitare il risentimento
poiché solo così si poteva accedere alla “misura”, al senso di un
limite accolto, il cui tema, dopo il ciclo dell’Assurdo e della Rivolta,
doveva essere al centro del ciclo dedicato a “Nemesi”32. Se la creazione deve essere
“corretta”, la creatura deve essere più giusta del Creatore: «Dobbiamo
servire la giustizia perché la nostra condizione è ingiusta, accrescere
la gioia e la felicità perché questo universo è infelice»33. Per questo
il dottor Rieux che, ne La peste, lotta contro la morte, è
il nemico di Dio. La salute contro la salvezza, la felicità
contro la redenzione: in ciò risiede la “correzione” della creazione,
la “religione” del mondo praticata da una razza di uomini migliori
del Demiurgo divino. «Che cosa medito di più grande di me, e sento
di poterlo definire? Una specie di difficile marcia verso una santità
della negazione, un eroismo senza Dio, l’uomo puro insomma. Tutte
le virtù umane, compresa la solitudine di fronte a Dio. In che cosa
consiste la superiorità di esempio (la sola) del cristianesimo?
In Cristo e nei suoi santi, nella ricerca di uno stile di vita.
La mia opera avrà tante forme quante sono le tappe sulla strada di
una perfezione senza ricompensa. Lo Straniero è il punto zero. Idem
il Mito. La Peste è un progresso […]. Il punto d’arrivo sarà il santo»34. Una perfezione senza ricompensa:
la via camusiana costituiva, in perfetta antitesi ad Agostino, la
direttiva di un pelagianesimo precluso ad ogni possibilità della grazia.
«Senso della mia opera: tanti uomini sono privi della grazia. Come
vivere senza la grazia?»35. Domanda fondamentale, questa, nella misura
in cui l’abbandono di Dio portava con sé un nichilismo rivoluzionario
capace di devastare la terra. Ad esso Camus opponeva, ne L’uomo
in rivolta, un “pensiero meridiano”, nemico della dismisura, amante
del presente del mondo e avverso ad ogni Regno futuro, cristiano o
marxista. Una rivolta senza risentimento, che non poteva fare a meno
di uno “strano amore”. La caduta e la grazia «Tempi moderni. Ammettono il
peccato e rifiutano la grazia. Sete di martirio»36. L’annotazione
dei primi anni Cinquanta puntualizza, con efficacia, l’ultima parte
della riflessione camusiana, quella contrassegnata dalla tematica
del racconto La chute (“La caduta”), del 1956. L’uomo in rivolta,
lo si è detto, può giudicare il divino Demiurgo solo se più giusto
di Lui, «ma ciò» scrive Camus «esige un’innocenza che io non ho più»37.
Un pessimismo nuovo, più radicale, avvicina ora l’autore ad Agostino
senza che con ciò si sciolgano le obiezioni verso Dio: «Chi potrà
dire la pena dell’uomo che ha preso le parti della creatura contro
il creatore e che, persa l’idea della propria innocenza e di quella
degli altri, giudica la creatura, e se stesso, criminali quanto il
creatore?»38. Camus non crede più alla beata
innocenza del divenire. L’esistenza appare ora come l’esigenza di
una grazia, attesa e violentata a un tempo. «Quando si è visto una
volta sola lo splendore della felicità sul viso di una persona che
si ama, si sa che per l’uomo non ci può essere altra vocazione che
suscitare questa luce sui visi che lo circondano… e ci si strazia
al pensiero dell’infelicità e della notte che gettiamo, per il solo
fatto di vivere, nei cuori che incontriamo»39. Per superare questa
naturale violenza il cuore dovrebbe essere «trasfigurato»40. Ma questo
non è semplice. «C’è sempre nell’uomo una parte che vuole morire.
È quella che domanda di essere perdonata»41. Il perdono, che è una
forma di amore, è difficile perché, a rigore, «nessuno merita di essere
amato – nessuno è all’altezza di questo dono supremo»42. Per questo
«l’amore di Dio è, a quanto pare, il solo che riusciamo a sopportare,
perché vogliamo sempre essere amati malgrado noi stessi»43. Camus
avverte ora «il peso insopportabile di questo mondo, di cui peraltro,
all’inizio, ero tanto soddisfatto»44. È in questo contesto che si
inserisce La caduta, il racconto del 1956 in cui una parte
significativa della critica ha colto toni nuovi nella produzione camusiana.
Qui il grido di Clamence, il protagonista, è netto: «D’altronde non
possiamo affermare l’innocenza di nessuno, mentre possiamo affermare
con sicurezza che tutti sono colpevoli»45. Di fronte a ciò «la sola
utilità di Dio consisterebbe nel garantire l’innocenza, e io la religione
la vedrei piuttosto come una grande impresa di lavatura, cosa che
del resto è stata, ma per breve tempo, esattamente tre anni, e non
si chiamava religione. Da allora manca il sapone»46. Lo stesso Gesù,
d’altra parte, in una singolare ripresa della gnosi di Basilide evidenziata
nella tesi del ’36, non è completamente incolpevole. Porta indirettamente
la responsabilità della strage degli innocenti. Per questo in una
sorta di morte espiatoria si consegna, nella morte, a Dio che però
rimane muto. Per Clamence la condivisione della colpa, estesa fino
aGesù, diviene una sorta di autoassoluzione
generalizzata, la possibilità di continuare a peccare senza, per questo,
dover cambiare vita. «Ma quando la nostra vita non ci piace, e si
sa di dover cambiare, non c’è scelta, vero? Come si fa ad essere un
altro? Impossibile. Bisognerebbe non esser più nessuno, abbandonarsi
completamente in qualcuno, almeno una volta. Ma come? […] Sì, abbiamo
perduto il lume, la santa innocenza di chi sa perdonare a sé stesso»47.
Camus
(al centro, in piedi) durante un viaggio in Grecia
nel 1954
Stretto tra desiderio di abbandono
e ribellione – al punto che Sartre potrà scrivere che Camus «è un
“antiteista” più che un ateo»48 – Camus non è in grado di sciogliere
il nodo. «Io» affermerà «non credo in Dio e non sono ateo»49.
Quella congiunzione significa che il problema per lui non è risolto,
la ribellione ne è testimonianza eloquente. «Io non partirò mai dal
principio che la verità cristiana è illusoria, ma soltanto dal fatto
che personalmente non ho potuto entrarvi»50. È contro il cristianesimo
e ha nostalgia della grazia. Antiagostiniano e agostiniano ad un tempo.
«Chi testimonierà per noi? Le nostre opere. Ahimé! Chi allora? Nessuno,
nessuno tranne quei nostri amici che ci hanno visto in quell’attimo
del dono in cui il cuore si consacrava interamente ad un altro. Insomma,
quelli che ci amano. Ma l’amore è silenzio: Ogni uomo muore sconosciuto»51.
Manca Colui che può salvare l’amore segreto degli uomini. Nell’ultimo
romanzo di Camus, lo splendido e incompiuto Le premier homme
che portava con sé al momento dello schianto mortale della sua auto
il 4 gennaio 1960, ciò che resta è l’amore di una madre, la madre
povera e silenziosa dell’autore. A lei, vestigia terrena del divino,
va la supplica del figliol prodigo: «O madre, o tenera, bambina adorata,
più grande del mio tempo, più grande della storia che ti assoggettava
a sé, più vera di tutto ciò che ho amato in questo mondo, o madre
perdona a tuo figlio di essere fuggito dalla notte della tua verità»52.
Figura estrema di una vita nascosta, di una dedizione senza ricompensa,
la «madre è Cristo»53. È «come un Myshkin ignorante. Non sa
nulla della vita di Cristo, eccetto che sulla croce. Eppure chi gli
è più vicino?»54. Camus, che aveva letto lo studio di Romano Guardini
L’univers religieux de Dostoïevski (Le Seuil 1947), associa
la figura materna al protagonista de L’idiota. Lei è l’“idiota”
il cui sacrificio d’amore è più forte della rivolta: «Cristianesimo
della mamma al termine della vita. La donna povera, infelice, ignorante
[…]. Che la croce la sostenga»55. Come Agostino verso Monica,
Camus ritrova nella madre l’eco di Cristo, il riflesso di una dedizione
immotivata più forte di ogni obiezione: «Che cosa avrebbe conservato
valore? Il silenzio di una madre. Davanti a lei deponeva le armi»56.
Da qui sorge l’ultima, la più autentica religione di Camus: «Quelli
che suscitano amore, anche decaduti, regnano sul mondo e lo giustificano»57.
Oltre la caduta e la rivolta si apre qui una possibiltà nuova: la
“grazia” come “giustificazione” dell’esistenza. Una grazia che rifulge
là dove il sacrificio è più grande. Donde l’affetto a Cristo, un Cristo
totalmente terreno certo, che muove Clamence a confessare: «Ha gridato
la propria agonia, e perciò l’amo, questo amico, morto senza sapere»58,
in ciò seguita da Nancy Mannigoe, la protagonista di Requiem per
una monaca di Faulkner che, nell’adattamento francese di Camus,
esclama: «Ma io l’amo perché è stato ucciso»59. In questo amore
a Cristo, Camus, che ammirava il Gesù risorto di Piero della Francesca,
non va oltre il sacrificio del Golgota. In ciò rimane, fino alla fine,
come Agostino prima della conversione. Celata rimane l’esigenza di
una grazia che risplende, a tratti, nei rapporti umani, in una «compagnia
senza parole», nei gesti nobili che «conservano interamente ai miei
occhi un valore di miracolo: un effetto esclusivo della grazia»60.
È l’opulenza che risalta nella
povertà. «Per i ricchi il cielo, essendo un dono in sovrappiù, sembra
un dono naturale; sono solo i poveri che gli restituiscono il suo
carattere di grazia infinita»61.
Durante
le prove dei Demoni di Dostoevskij nel Teatro Antoine
di Parigi, gennaio 1959
NOTE 1 A. Camus, Métaphysique
chrétienne et néoplatonisme, Paris 1965, tr. it., Metafisica
cristiana e neoplatonismo, a cura di L. Chiuchiù, Reggio Emilia
2004. 2 Sul confronto Camus-Agostino
cfr. P. Archambault, Augustin et Camus, in RecherchesAugustiniennes, 6 (1969), pp. 195-221; E. C. Rava, La ricerca
di Dio: Albert Camus e Agostino a confronto, in Lateranum,
55 (1989), pp. 69-133; V. Pacioni, La presenza di sant’Agostino
nell’opera letteraria e filosofica di Albert Camus, in Aa.Vv,
Congresso internazionale su sant’Agostino nel XVI centenario della
conversione, vol. III, Roma 1987, pp. 369-379; G. Ricciardi, La
presenza di sant’Agostino in Albert Camus, in Aa.Vv, Agostino
non è (il) male, acura
di G. Fidelibus, Chieti 1998, pp. 77-86; A. Pieretti, Albert Camus.
Unde malum?, in Aa. Vv, Esistenza e libertà. Agostino nella
filosofia del Novecento, vol. I, a cura di L.Alici-R.Piccolomini-A.Pieretti,
Roma 2000, pp. 225-247. 3 A. Camus, Metafisica
cristiana e neoplatonismo, cit. p.12. 4Ibidem. 5Ibidem. 6A. Camus, Nozze, tr. it.,
in Saggi letterari, Milano 1966, p. 69. 7 A. Camus, Metafisica
cristiana e neoplatonismo, cit., p. 43. 8Ibidem,
p. 93. 9Ibidem,
p.111. 10Ibidem,
pp. 112-113. 11 “Nouv. lett.”,
n. 1236, 10 maggio 1951. 12 A. Camus, Carnets,
vol. II, Janvier 1942–Mars 1951, Paris 1964, tr. it., Taccuini,
vol. II, Gennaio 1942-Marzo 1951, Milano 1992, p. 11. 13Ibidem,
p.13. 14Ibidem,
p. 285. 15Ibidem,
p.141. 16Ibidem,
p. 204. 17Ibidem,
p. 269. 18Ibidem,
p.150. 19Ibidem,
p.198. 20 Cit. in O. Todd,
Albert Camus – Une vie, Paris 1996, tr. it., Albert Camus.
Una vita, Milano 1997, p. 56. 21Ibidem,
p. 67. 22 A. Camus, Taccuini,
vol. II, cit., p. 204. 23 Cit. in H.R. Lottman,
Albert Camus, Paris 1978, tr. it., Albert Camus, Milano
1984, p. 418. 24 A. Camus, L’incroyant
e les chrétiens, in Essais, Paris 1965, tr. it., Il
non credente e i cristiani, in Esistenza e storia, a cura
di R. Perini, Perugia 1981, p.117. 25A. Camus, Taccuini, vol.
II, cit., p.154. 26 A. Camus, Il
non credente e i cristiani, cit., p. 116. 27 A. Camus, Carnets,
vol. III, Mars 1951–Décembre 1959, Paris 1989, tr. it., Taccuini,
vol. III, Marzo 1951 –Dicembre 1959, Milano 1992, p.182. 28 A. Camus, L’homme
révolté, Paris 1951, tr. it., L’uomo in rivolta, Milano
1968, p. 31. 29 H. Jonas, Gnosticism
and Modern Nihilism, in Social Research, XIX (1952), tr.
it. in Gnosi, esistenzialismo e nichilismo, in Organismo
e libertà. Verso una biologia filosofica, Torino 1999, pp. 263-284. 30 A. Camus, Taccuini,
vol. II, cit., p. 165. 31Ibidem,
p. 109. 32 Cfr. ibidem,
p. 278 e Taccuini, vol. III, cit., p. 76. 33 A. Camus, Taccuini,
vol. II, cit., p. 110. 34Ibidem, pp. 26-27. 35Ibidem,
p. 110. 36 A. Camus, Taccuini,
vol. III, cit., p. 60. «Però credono solo al peccato, mai nella
grazia» (A. Camus, La chute, Paris 1956, tr. it., La caduta,
Milano 1974, p. 84). Les temps modernes era il titolo della
rivista diretta da J. P. Sartre. 37 A. Camus, Taccuini,
vol. II, cit., p. 172. 38Ibidem,
p. 240., cfr. Taccuini, vol. III, cit., p. 115. 39 A. Camus, Taccuini,
vol. II, cit., pp. 234-235. 40Ibidem,
p. 269. 41Ibidem,
p. 270. 42 A. Camus, Taccuini,
vol. III, cit., p. 116. 43Ibidem,
p. 42. 44Ibidem,
p. 58. 45 A. Camus, La
caduta, cit., p. 68. 46Ibidem,
p. 69. 47Ibidem,
p.89. 48 J. P. Sartre,
Risposta a Camus, in Situations, vol. IV, Paris 1964,
tr. it., in Che cos’è la letteratura, Milano 1966, p. 469. 49 A. Camus, Taccuini,
vol. III, cit., p. 128. 50 A. Camus, Il
non credente e i cristiani, cit., p. 114. 51 A. Camus, Taccuini,
vol. III, cit., p. 60. 52 A. Camus, Le
premier homme, Paris 1994, tr. it., Il primo uomo, Milano
1994, p. 245. 53Ibidem, p. 254. 54Ibidem,
p. 264. 55Ibidem, p. 271. 56Ibidem,
p. 276. 57Ibidem,
p. 259. 58 A. Camus, La
caduta, cit., p. 71. 59 Cit. in Ch. Moeller,
Littérature du XXe siècle et christianisme, vol. I, Silence
de Dieu, Paris 1964, tr. it., Letteratura moderna e cristianesimo,
vol. I, Il silenzio di Dio, Milano 1973, p. 96, nota24. 60 A. Camus, Il
primo uomo, cit., p. 244. L’annotazione è ripresa dai Taccuini
del 1935 (Cfr. A. Camus, Carnets, vol. I, Mai 1935–Février
1942, Paris 1963, tr. it., Taccuini, vol. I, Maggio
1935–Febbraio 1942, Milano 1992, p. 10). 61 Ibidem,
p. 7.